1. Cosa sono i mantra e come funzionano
Ci diverse interpretazioni della parola sanscrita mantra: la sillaba “man” indica il pensiero, la contemplazione, la meditazione profonda; “tra” significa proteggere, liberare, illuminare. Il termine mantra può quindi essere tradotto come “strumento per la liberazione della mente” ma può anche essere visto come un “attraversare la mente” per raggiungere la nostra parte più intima e profonda: in questo senso, il mantra sarebbe un mezzo capace di superare l’oceano della mente stessa e di lasciarci guardare oltre le onde dei pensieri.
In termini di struttura, il mantra è un archetipo sonoro di energie sottili dato da una combinazione di suoni che derivano dalle cinquanta lettere dell’alfabeto sanscrito (il sanscrito è chiamato anche devangari, la lingua degli dei). Non si tratta necessariamente di parole di senso compiuto: i mantra che si riferiscono a concetti astratti vengono definiti Niguna, mentre gli altri sono Saguna. I bija-mantra, fonemi di potenza che agiscono direttamente sulle nadi e vibrano nei chakra per permettere il risveglio della kundalini, sono esempi di Niguna, i mantra dedicati alle divinità sono Saguna.
Il Mantra-Yoga o Japa-Yoga è la disciplina che si occupa dello studio e della pratica dei mantra e fa capo alla via del Bhakti Yoga. Swami Satyananda insegnava che il japa è il metodo più sicuro per raggiungere la liberazione spirituale, perché con la ripetizione del mantra si creano nella mente delle vibrazioni profonde di energia spirituale. Il suono mistico produce un cambiamento concreto, sia sul corpo mentale che su quello sottile, perché la sua potenza agisce direttamente sui chakra e sulle nadi e permette di espandere la mente, liberandola dai blocchi inconsci (samskara).
Una similitudine di Walter Froldi in “Mantra – il suono dell’infinito” aiuta a comprendere in modo più chiaro il funzionamento dei mantra:
“Il mantra agisce sulla sostanza mentale creando delle onde sonore simili a quelle generate da un sasso gettato in uno stagno; queste onde hanno una forma specifica (mandala) letta e assorbita dall’inconscio, che è molto sensibile ai simboli. Quando pratichiamo seduti e immobili nella posizione di meditazione (asana), e calmiamo la mente, la rendiamo simile allo stagno la cui superficie può essere increspata dalle onde sonore del mantra. Queste onde si propagano nel profondo destrutturando schemi di pensiero e abitudini antiche, generando un rinnovamento interiore e la nascita di una nuova sensibilità psichica.”
2. Il suono, il pensiero, l’energia e la forma
Il valore dei suoni mistici fu conosciuto fin dai tempi vedici, poiché tali suoni erano ritenuti fin da allora uno strumento di potenza vibratoria capace di dare accesso a determinati stati di coscienza, di generare l’esperienza dell’Assolutoe la connessione con il Brahman rappresentato dall’OM, il mantra-seme principale che racchiude in sé tutti gli altri. Om è infatti l’espressione stessa dell’energia, l’anello di congiunzione tra la coscienza e la materia, il suono della creazione dell’universo.
Il suono ha diverse qualità. La filosofia del mimamsa approfondì le caratteristiche del suono individuandone quattro fondamentali:
- vaikhari: il suono grossolano, denso, articolato dalla voce
- madhyamah: il suono interno, sottile, non udibile da un orecchio umano
- pasyanti: il suono ancora più interiore, ancora più etereo del madhyamah
- para: il suono più puro, di cui i precedenti non sono che manifestazioni esterne, grossolane. Para rappresenta Isvara e in esso energia, suono e pura coscienza coincidono (Cit-Shakti). Questo livello del suono è percepito solo nello stato di profonda meditazione e non è generato dalla semplice recitazione, ma nasce dal cuore.
Secondo le antiche scritture, i mantra venivano uditi dai Rishi durante lo stato del Samadhi. La qualità dei suoni che essi percepivano era dunque quella del para, ossia l’essenza rivelata del suono. Attraverso i mantra, i Rishi arrivavano all’essenza della creazione stessa: c’è, infatti, un’interazione profonda tra parola, pensiero e creazione. Secondo la filosofia del Vedanta il nome (nama) conduce spontaneamente all’oggetto (rupa) grazie all’energia creatrice universale indissolubilmente legata al pensiero: la shakti. Laddove c’è il suono, la vibrazione, c’è la forma, perché ove è il pensiero sussiste anche l’energia creatrice che dà forma all’oggetto.
Le sillabe sacre usate durante la meditazione sono, normalmente, i nomi dell’Assoluto. In quanto energia divina manifestata nel suono, il mantra è il corpo sottile della divinità: la ripetizione corretta evoca la forma della divinità che presiede a quel mantra, perché il nome e il pensiero hanno la stessa lunghezza d’onda e sono inseparabili. Parliamo naturalmente di “forma della divinità” intese come i differenti aspetti dello stesso Dio supremo, l’Atman.
Sostiene Vishnudevananda:
“Gli occidentali tendono a pensare che i vari mantra si riferiscano a differenti divinità e che conducano a esperienze molto diverse. Non bisogna mai dimenticare che gli dei sono aspetti di un’unica Divinità.”
Eppure, almeno all’inizio della pratica spirituale, lo stesso mantra può rivelarsi più adatto per una persona e meno per un’altra. La sua efficacia può cambiare in base alle inclinazioni personali, al modo che ognuno di loro ha di concepire Dio: l’armonia tra l’aspirante e la divinità prescelta è un fattore importantissimo, così come lo sono la giusta intenzione, la devozione, l’attenzione alla pronuncia delle sillabe sanscrite e al ritmo. Quello del mantra personale è un discorso molto ampio, che meriterebbe una tesina a parte, perciò qui mi limiterò a ricordare come il mantra personale venga di solito dato da un guru. Non è così facile al giorno d’oggi incontrare un guru che abbia spezzato il potere di un mantra e sia in grado di dare l’avvio a questo processo di iniziazione, ma mentre lo aspettiamo possiamo iniziare ricercando il significato che per noi assume il divino, ascoltare la nostra parte più profonda e seguire le nostre inclinazioni.